Torniamo ad occuparci di un tema di strettissima attualità, soprattutto in funzione degli incentivi statali per l’abbattimento delle barriere architettoniche.
Sull’argomento, la Cassazione 17138/2023 ha stabilito che «in materia di tutela antidiscriminatoria delle persone con disabilità vittime di disparità di trattamento nell’ambito di un contesto condominiale, costituisce discriminazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 67/2006, la situazione di inaccessibilità all’edificio determinata dall’esistenza di barriere architettoniche».
Entriamo più nel dettaglio per meglio capire un concetto che all’apparenza potrebbe ragionevolmente sfuggire: quello della tutela antiscriminatoria dei soggetti con disabilità.
La sentenza in questione trae origine dal caso di un disabile impossibilitato ad andare a trovare la sorella, residente in un condominio a lui inaccessibile. L’uomo aveva citato Comune e Amministratore dello stabile (quale legale rappresentante del condominio), chiedendo la condanna in solido per condotta discriminatoria, oltre al risarcimento del danno, e i supremi giudici hanno accolto la richiesta.
Al di la dell’accoglimento del ricorso, meritano attenzione le motivazioni alla base dell’accoglimento stesso.
La legge dispone, per le persone con disabilità, una specifica tutela per tutte quelle situazioni in cui il disabile risulti destinatario di trattamenti discriminatori al di fuori di un rapporto di lavoro. La Suprema corte ha ribadito che «l’esistenza di un’ampia definizione legislativa e regolamentare di barriere architettoniche e di accessibilità rende la normativa sull’obbligo dell’eliminazione delle prime, e sul diritto alla seconda per le persone con disabilità, immediatamente precettiva e idonea a far ritenere prive di qualsivoglia legittima giustificazione la discriminazione o la situazione di svantaggio in cui si vengano a trovare i disabili, consentendo loro il ricorso alla tutela antidiscriminatoria, quando l’accessibilità sia impedita o limitata, a prescindere dall’esistenza di una norma regolamentare apposita che attribuisca la qualificazione di barriera architettonica ad un determinato stato dei luoghi» (Cassazione 18762/2016 e Cassazione 3691/2020).
Emerge importantissimo come il concetto stesso di disabilità vada interpretato in senso molto ampio e decontestualizzato, sì da doversi ritenere che la normativa concernente il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche di cui alla legge 13 del 1989, articolo 2, sia applicabile anche alle persone che, in conseguenza dell’età avanzata, pur non essendo portatori di handicap nel senso stretto del termine, abbiano comunque disagi fisici e difficoltà motorie.
Certamente ogni caso è a se stante e va analizzato e studiato nel dettaglio, ma il concetto base da cui partire per le necessarie analisi è quello che la Cassazione ha chiaramente sottolineato come l’impossibilità di osservare tutte le prescrizioni della legge 13/89 per particolari caratteristiche dell’edificio non comporti la totale inapplicabilità delle disposizioni di favore finalizzate anche solo ad agevolare l’accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica.
Ciò che risulta determinante al riguardo è che l’intervento produca comunque un risultato «conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione» (Cassazione 4734/2015 e Cassazione 21568/2012).
Conclusione
Si può pertanto concludere che, qualora il condominio abbia omesso qualsiasi intervento volto all’abbattimento delle barriere architettoniche, il soggetto portatore di disabilità - anche non condomino - potrà agire contro il condominio avvalendosi della tutela antidiscriminatoria della legge 67/2006, con lo scopo di ripristinare la parità di trattamento, così da consentirgli di partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita sociale, ivi compreso andare a trovare un parente.